E’ il giorno del Kenya, forse più di ieri, quando nei primi
quattro posti dei 3000 siepi c’erano solo atleti degli altipiani. La quarta
giornata, solo pomeridiana, dei Mondiali di Pechino, quella del ritorno in
pista di sua maestà Usain Bolt, vive il suo momento più imprevedibile ed
emozionante con la vittoria sui 400 ostacoli del keniano Nicholas Bett. Per l’Italia
era tutto sulle spalle di Libania Grenot, unica azzurra in gara eliminata nelle
semifinali dei 400 metri.
KENYA OVUNQUE: il Kenya sorride oggi, più di tutti. La prima
posizione nel medagliere racconta di un movimento atletico che sta cambiando,
crescendo. Forse in risposta alle mille critiche ricevute per un sistema che
faceva acqua da tutte le parti in quanto a controlli antidoping e quant’altro,
forse perché adesso si cerca di guardare oltre al mezzofondo per plasmare
quella incredibile materia prima a disposizione anche in discipline finora meno
esplorate. Certo è che Nicholas Bett continua ancora a saltare, il ragazzo
impiegherà del tempo a capacitarsi di un’impresa storica, probabilmente quella
che verrà celebrata di più dalla sua gente. E’ lui il nuovo campione mondiale
dei 400 ostacoli, esatto, proprio ostacoli, non siepi, dove peraltro i suoi
connazionali ieri hanno piazzato un tris da favola. I 400 ostacoli sono tutt’altro
mondo, lì bisogna volare tra le barriere, serve velocità ed un bagaglio grosso
così di tecnica. Se poi si vuol vincere un mondiale è necessario spingere forte
sull’acceleratore, ripartire al meglio lo sforzo, affrontare ogni barriera con
decisione, perché nel rettilineo conclusivo quegli ostacoli sembrano alzarsi
sempre di più quando la zavorra della fatica si fa sentire. Ne sa qualcosa lo
statunitense Michael Tinsley, tra i favoriti della vigilia eppure precipitato
in ultima posizione, risucchiato da se stesso nei 100 metri conclusivi di una
gara che lo ha visto naufragare tra gli ostacoli. Un ultimo rettilineo dove
invece si è esaltato Bett, corsia tutta all’esterno, blasone pressoché pari a
zero. Lo scorso anno aveva un personale di 49.03, a Pechino letteralmente
demolito: la sua rimonta conclusiva è roba da lasciare senza fiato, una
rincorsa all’oro che ferma i cronometri a 47.79, nuovo mondiale stagionale e
primo storico titolo iridato per il Kenya. La festa è il minimo, la notte sarà
lunga, si spera solo che non paghi il taxi con la medaglia d’oro così come
avvenuto nella giornata di ieri al polacco Pawel Fajdek, al rientro da
festeggiamenti un po’ troppo alcolici.
La bandiera scudata del Kenya sventola anche per il ritorno
di David Rudisha, alle prese con acciacchi nelle ultime stagioni e parecchi
dubbi, un po’ come per Bolt. Finale spigolosa quella sugli 800 metri, eppure il
primatista del mondo ha saputo interpretare, decidere, affondare l’attacco
quando era il momento. Un ultimo 200 metri a 24 secondi e spiccioli è la sua
firma sulla medaglia d’oro, beffando il polacco dal cognome impronunciabile
Kszczot, troppo istintivo, e la sorpresa del 2015, il bravo Amel Tuka, bronzo
contento.
GENZEBE, LA REGINA E’ LEI? Si risolve con un deciso cambio
di ritmo anche la gara dei 1500 metri, fino agli 800 metri tattica all’estremo.
Tutte lì, ad attendere la mossa della Dibaba, gran favorita, che puntuale come un
treno svizzero, decide di partire a 700 metri dal traguardo. Un giro di pista
in 57 secondi, sfronda il grosso del gruppo, poi negli ultimi 300 metri tiene
duro sulla keinana Kipyegon e l’altra etiope di nazionalità olandese, Sifan
Hassan. Adesso per Genzebe sarà la volta dei 5000 metri, la prova del nove per
capire se siamo di fronte alla regina del Mondiale.
LIBANIA NON BASTA: non è servito a molto il terzo posto di
semifinale di Libania Grenot sui 400 metri. L’italiana parte forte come suo
solito, mantiene meglio sul rettilineo finale rispetto alle batterie, ma il
crono di 51.14 non aiuta. Nel complesso le finiscono avanti in 13, di cui 5
europee, segno che per la campionessa europea si poteva fare di più. La
migliore del vecchio continente alla fine è la solita Ohurougu, cecchina dei
grandi appuntamenti, quarto crono di giornata con 50.16, in una graduatoria
dominata da Allyson Felix, unica a scendere sotto il muro dei 50 secondi, con
49.89.
RUTHERFORD CAMPIONE VERO: era stato quasi sbeffeggiato ai Giochi
di Londra, quando vinse l’oro del salto in lungo con 8.31, quasi fosse il
brutto anatroccolo di una rassegna prodiga di risultati straordinari. Avrebbe
potuto campare di rendita su quella medaglia, invece lui è stato bravo a
cercare ancora miglioramenti, a lavorare sui particolari. Velocità migliorata
grazie ad allenamenti mirati, poi la tecnica naturalmente, essenziale per
atterrare lontano. Lo scorso anno è arrivato fino al record personale di 8.51,
oggi a Pechino ha vinto il titolo iridato con 8,41, avendo ragione, e non è
poco, di un trio cinese sostenuto da uno stadio intero che alla fine manda sul
podio il solo Wang, preceduto anche dall’australiano Lapierre. Buon per lui che
gli americani siano stati protagonisti di un suicidio di massa, prima con l’eliminazione
inattesa di Marquis Dendy in qualificazione, poi con il modesto 7.95 di un Jeff
Henderson che ci aveva abituato a balzi di ben altra consistenza.
BOLT E GATLIN SI RICOMINCIA: tornano in pista, un po’ più
stanchi probabilmente, ma con la stessa voglia di battersi per la medaglia d’oro.
Usain Bolt gigioneggia come al solito prima della partenza, di certo non avrà
avuto molto tempo per festeggiare l’oro sui 100 metri. La sua tenuta di
condizione è un’incognita, sui 200 dovrebbe trovarsi più a suo agio, ma bisogna
vedere quanti galloni ha ancora nel serbatoio, lui che in una settimana dovrà
correre tante gare quante ne ha corse nel corso dell’intera stagione. Di certo
l’impressione in batteria è stata buona, si intravede il lanciato di un tempo
all’uscita della curva, ma la gara è durata più o meno 140 metri. Il suo 20.28
trova così risposta nel 20.19 di Justin Gatlin, “easy” anche lui in una
batteria che ha messo in mostra il baby giapponese Sani Brown, classe 1999,
campione mondiale Allievi circa un mese fa su 100 e 200 metri, un vero
prodigio. Il ragazzo è secondo con 20.35, qualificazione centrata, la terza per
i nipponici. In chiave europea si rivede in gran spolvero l’azero Ramil
Guliyev, adesso con cittadinanza turca, miglior tempo con il record nazionale
portato a 20.01. Bene anche il greco Tsakonas, il britannico di origini caraibiche
Zharnel Hughes ed il giamaicano Julian Forte. Da rivedere l’altro giamaicano Warren
Weir e Christophe Lemaitre, mentre delude lo statunitense Isaiah Young.
CABALLERO, E “EL CABALLO” FA FESTA: è bastato un lancio al
limite dei 70 metri per consegnare il titolo mondiale alla cubana Denia
Caballero, 25 anni ed un futuro davanti. La rivelazione dell’anno della
specialità cala l’asso già al primo turno, arrivando a 69.28, misura avvicinata
solo sul finale dalla dominatrice delle ultime stagioni, la croata Sandra
Perkovic. Le due sono le uniche ad aver superato i 70 metri nel 2015, tra di
loro la prossima rivincita sarà probabilmente alle Olimpiadi di Rio. La nutrita
tifoseria cubana sugli spalti, tra cui la leggenda Alberto Juantorena,
festeggiano così la prima medaglia della rassegna, che sarebbe potuta essere la
seconda, se solo Yaime Perez avesse lanciato più di 65.53, misura che invece
regala il bronzo alla tedesca Nadine Muller.
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