martedì 25 agosto 2015

IL KENYA SALTA!

E’ il giorno del Kenya, forse più di ieri, quando nei primi quattro posti dei 3000 siepi c’erano solo atleti degli altipiani. La quarta giornata, solo pomeridiana, dei Mondiali di Pechino, quella del ritorno in pista di sua maestà Usain Bolt, vive il suo momento più imprevedibile ed emozionante con la vittoria sui 400 ostacoli del keniano Nicholas Bett. Per l’Italia era tutto sulle spalle di Libania Grenot, unica azzurra in gara eliminata nelle semifinali dei 400 metri.


KENYA OVUNQUE: il Kenya sorride oggi, più di tutti. La prima posizione nel medagliere racconta di un movimento atletico che sta cambiando, crescendo. Forse in risposta alle mille critiche ricevute per un sistema che faceva acqua da tutte le parti in quanto a controlli antidoping e quant’altro, forse perché adesso si cerca di guardare oltre al mezzofondo per plasmare quella incredibile materia prima a disposizione anche in discipline finora meno esplorate. Certo è che Nicholas Bett continua ancora a saltare, il ragazzo impiegherà del tempo a capacitarsi di un’impresa storica, probabilmente quella che verrà celebrata di più dalla sua gente. E’ lui il nuovo campione mondiale dei 400 ostacoli, esatto, proprio ostacoli, non siepi, dove peraltro i suoi connazionali ieri hanno piazzato un tris da favola. I 400 ostacoli sono tutt’altro mondo, lì bisogna volare tra le barriere, serve velocità ed un bagaglio grosso così di tecnica. Se poi si vuol vincere un mondiale è necessario spingere forte sull’acceleratore, ripartire al meglio lo sforzo, affrontare ogni barriera con decisione, perché nel rettilineo conclusivo quegli ostacoli sembrano alzarsi sempre di più quando la zavorra della fatica si fa sentire. Ne sa qualcosa lo statunitense Michael Tinsley, tra i favoriti della vigilia eppure precipitato in ultima posizione, risucchiato da se stesso nei 100 metri conclusivi di una gara che lo ha visto naufragare tra gli ostacoli. Un ultimo rettilineo dove invece si è esaltato Bett, corsia tutta all’esterno, blasone pressoché pari a zero. Lo scorso anno aveva un personale di 49.03, a Pechino letteralmente demolito: la sua rimonta conclusiva è roba da lasciare senza fiato, una rincorsa all’oro che ferma i cronometri a 47.79, nuovo mondiale stagionale e primo storico titolo iridato per il Kenya. La festa è il minimo, la notte sarà lunga, si spera solo che non paghi il taxi con la medaglia d’oro così come avvenuto nella giornata di ieri al polacco Pawel Fajdek, al rientro da festeggiamenti un po’ troppo alcolici.
La bandiera scudata del Kenya sventola anche per il ritorno di David Rudisha, alle prese con acciacchi nelle ultime stagioni e parecchi dubbi, un po’ come per Bolt. Finale spigolosa quella sugli 800 metri, eppure il primatista del mondo ha saputo interpretare, decidere, affondare l’attacco quando era il momento. Un ultimo 200 metri a 24 secondi e spiccioli è la sua firma sulla medaglia d’oro, beffando il polacco dal cognome impronunciabile Kszczot, troppo istintivo, e la sorpresa del 2015, il bravo Amel Tuka, bronzo contento.

GENZEBE, LA REGINA E’ LEI? Si risolve con un deciso cambio di ritmo anche la gara dei 1500 metri, fino agli 800 metri tattica all’estremo. Tutte lì, ad attendere la mossa della Dibaba, gran favorita, che puntuale come un treno svizzero, decide di partire a 700 metri dal traguardo. Un giro di pista in 57 secondi, sfronda il grosso del gruppo, poi negli ultimi 300 metri tiene duro sulla keinana Kipyegon e l’altra etiope di nazionalità olandese, Sifan Hassan. Adesso per Genzebe sarà la volta dei 5000 metri, la prova del nove per capire se siamo di fronte alla regina del Mondiale.

LIBANIA NON BASTA: non è servito a molto il terzo posto di semifinale di Libania Grenot sui 400 metri. L’italiana parte forte come suo solito, mantiene meglio sul rettilineo finale rispetto alle batterie, ma il crono di 51.14 non aiuta. Nel complesso le finiscono avanti in 13, di cui 5 europee, segno che per la campionessa europea si poteva fare di più. La migliore del vecchio continente alla fine è la solita Ohurougu, cecchina dei grandi appuntamenti, quarto crono di giornata con 50.16, in una graduatoria dominata da Allyson Felix, unica a scendere sotto il muro dei 50 secondi, con 49.89.

RUTHERFORD CAMPIONE VERO: era stato quasi sbeffeggiato ai Giochi di Londra, quando vinse l’oro del salto in lungo con 8.31, quasi fosse il brutto anatroccolo di una rassegna prodiga di risultati straordinari. Avrebbe potuto campare di rendita su quella medaglia, invece lui è stato bravo a cercare ancora miglioramenti, a lavorare sui particolari. Velocità migliorata grazie ad allenamenti mirati, poi la tecnica naturalmente, essenziale per atterrare lontano. Lo scorso anno è arrivato fino al record personale di 8.51, oggi a Pechino ha vinto il titolo iridato con 8,41, avendo ragione, e non è poco, di un trio cinese sostenuto da uno stadio intero che alla fine manda sul podio il solo Wang, preceduto anche dall’australiano Lapierre. Buon per lui che gli americani siano stati protagonisti di un suicidio di massa, prima con l’eliminazione inattesa di Marquis Dendy in qualificazione, poi con il modesto 7.95 di un Jeff Henderson che ci aveva abituato a balzi di ben altra consistenza.

BOLT E GATLIN SI RICOMINCIA: tornano in pista, un po’ più stanchi probabilmente, ma con la stessa voglia di battersi per la medaglia d’oro. Usain Bolt gigioneggia come al solito prima della partenza, di certo non avrà avuto molto tempo per festeggiare l’oro sui 100 metri. La sua tenuta di condizione è un’incognita, sui 200 dovrebbe trovarsi più a suo agio, ma bisogna vedere quanti galloni ha ancora nel serbatoio, lui che in una settimana dovrà correre tante gare quante ne ha corse nel corso dell’intera stagione. Di certo l’impressione in batteria è stata buona, si intravede il lanciato di un tempo all’uscita della curva, ma la gara è durata più o meno 140 metri. Il suo 20.28 trova così risposta nel 20.19 di Justin Gatlin, “easy” anche lui in una batteria che ha messo in mostra il baby giapponese Sani Brown, classe 1999, campione mondiale Allievi circa un mese fa su 100 e 200 metri, un vero prodigio. Il ragazzo è secondo con 20.35, qualificazione centrata, la terza per i nipponici. In chiave europea si rivede in gran spolvero l’azero Ramil Guliyev, adesso con cittadinanza turca, miglior tempo con il record nazionale portato a 20.01. Bene anche il greco Tsakonas, il britannico di origini caraibiche Zharnel Hughes ed il giamaicano Julian Forte. Da rivedere l’altro giamaicano Warren Weir e Christophe Lemaitre, mentre delude lo statunitense Isaiah Young.


CABALLERO, E “EL CABALLO” FA FESTA: è bastato un lancio al limite dei 70 metri per consegnare il titolo mondiale alla cubana Denia Caballero, 25 anni ed un futuro davanti. La rivelazione dell’anno della specialità cala l’asso già al primo turno, arrivando a 69.28, misura avvicinata solo sul finale dalla dominatrice delle ultime stagioni, la croata Sandra Perkovic. Le due sono le uniche ad aver superato i 70 metri nel 2015, tra di loro la prossima rivincita sarà probabilmente alle Olimpiadi di Rio. La nutrita tifoseria cubana sugli spalti, tra cui la leggenda Alberto Juantorena, festeggiano così la prima medaglia della rassegna, che sarebbe potuta essere la seconda, se solo Yaime Perez avesse lanciato più di 65.53, misura che invece regala il bronzo alla tedesca Nadine Muller.

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